Ho visto recentemente la splendida mostra su Escher a Milano, in cui tuttavia un’imprecisione mi ha fatto riflettere su un concetto che per chi ha la mia età era abbastanza comune, ma sembra non esserlo piu’ per una generazione successiva.

Viene citata in maniera piuttosto esplicita la collaborazione tra Escher e vari musicisti, citando come esempio il fatto che Mick Jagger avesse chiesto un suo disegno per la copertina di Let it bleed, che l’autore nego’, mentre viene evidenziato il fatto che un suo quadro appare su un disco dei Pink Floyd: come esempio viene citato un LP, “On the run”, sulla cui copertina appare, effettivamente, “Relativita’”: questo disco, tuttavia, e’ un bootleg (leggi: disco non ufficiale che di solito conteneva registrazioni non autorizzate di concerti, trasmissioni radio/tv o materiale inedito vario), quindi non un disco che fa parte della produzione ufficiale dei Pink Floyd, ma che fu pubblicato da qualcun altro che, ovviamente, fece le proprie scelte in termini di artwork.

Il concetto di bootleg (che spesso, anni fa, faceva venire l’acquolina in bocca a chi era particolarmente fan di qualche gruppo: alcuni erano veramente leggendari) adesso e’ superato dai mille video che chiunque puo’ pubblicare su youtube, rendendo tuttavia l’idea in se desueta e molto meno “preziosa”.

Tornando ai Pink Floyd, sarebbe stato piu’ sensato citare la copertina di Ummagumma, in cui lo spirito di Escher e’ ben presente, ma che viene a sproposito citata nella mostra solo come esempio di ricorsione o di “effetto Droste” (cosa che non e’, perche’, se ci fate caso, le immagini riprodotte nel quadro a sinistra sono tutte diverse in qualche particolare, e quindi si legano quasi di piu’ alla geometria frattale che non alla ricorsivita’ delle immagini).

Sicuramente molto interessante nella galleria finale il vedere LP di nomi ormai ritenuti sconosciuti (Ian Hunter, sia da solo che con i Mott the Hoople, oppure i Bauhaus e il loro Stairway To Escher), che invece usarono seriamente Escher, anche se tutti dopo la sua morte (e per la cronaca il citato bootleg dei Pink Floyd e’ addirittura del 1987).

Ecco, capisco che alla fine quanto scritto sopra sia solamente un nostalgico ricordo di un quarantenne per un fenomeno ormai estinto, ma un’imprecisione del genere in una mostra di questa importanza mi lascia un po’ di amaro in bocca.

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