Leggere lamentele sul mondo della musica classica, oggi, e’ qualcosa di straordinariamente comune (da cui io non sono certo esente): sulla qualita’ dei dischi pubblicati, sulla presenza o meno di determinati titoli in cartellone, sulla preferenza accordata nei media a determinati progetti rispetto ad altri.
Sarebbe molto interessante capire quanto la lamentela sia un diritto naturale e quanto un diritto acquisito: ad esempio, in ambito politico se ti lamenti della situazione ma poi non vai a votare perdi il diritto a lamentarti. Se non paghi il biglietto non puoi protestare perche’ i mezzi pubblici vanno in ritardo. Se non paghi il canone non puoi protestare perche’ non ti piacciono i programmi RAI.
Mediamente per l’ascoltatore musicale molto dell’attuale fa schifo (tralasciamo chi crede che non ci sia piu’ un Tamino decente dal 1914). Soprattutto viene considerato con fastidio il fatto che sia data precedenza ai “progetti che vendono”.
Parlare di “progetti che vendono”, pero’, implica anche parlare di “persone che li comprano”.
Succede infatti una cosa strana: chi produce progetti (concerti, dischi, video, incontri, manifestazioni) li fa sulla base del tipo di riscontro che avranno. E’ sempre stato cosi’ e sempre sara’ cosi’, e per anni il mercato musicale e’ stato foraggiato unicamente dal rapporto cliente-fornitore.
Infatti, quando parliamo di vendere, parliamo di una situazione di scambio tra il cliente e il fornitore, che puo’ essere di soldi o anche semplicemente di tempo. Ovviamente non tutte le valute hanno lo stesso valore: il valore che ha il tempo dell’ascoltatore per un concerto e’ ovviamente assimilabile al valore che ha un investimento monetario per i dischi.
La situazione che io vedo e’ quella di un ampio astensionismo musicale, simile a quello elettorale.
L’astensionismo politico, lecito, toglie ogni diritto alla protesta, a meno ovviamente che la misura del quorum non sia misura del risultato anch’essa.
L’astensionismo musicale, inteso come la fruizione della musica, ma solo tramite canali che non alimentino il mercato musicale, altrettanto leva ogni diritto alla protesta sulla qualita’ del prodotto.
L’Italia, purtroppo, e’ dannata da quasi un secolo di finanziamenti pubblici elargiti senza avere la misura del ritorno sul pubblico: ci sono sicuramente progetti di ricerca che vanno sovvenzionati anche se il pubblico non e’ ancora pronto, ma il perdere completamente di vista il ritorno e’ stato una tattica folle e suicida, i cui risultati si vedono oggi in tutta la loro potenza deflagrante: tutti sono abituati al fatto che la musica e’ gratis e, soprattutto, che esiste, procede e marcia anche se nessuno degli “utenti” ci mette del suo. Lontani i tempi della Germania postbellica quando lo stato ti finanziava 5 marchi per ogni biglietto venduto.
Questo cosa vuol dire, in pratica? Che a chi fa musica, del fatto che voi vi facciate grandi scorpacciate di musica su youtube, non gliene frega niente. Perche’ se il comparto della musica dal vivo si svuota, non e’ imprevedibile che diminuiscano i bandi, le assegnazioni, le elargizioni, le erogazioni: chi finanzia (pubblico o privato che sia) lo fa per farsi vedere, perche’ nulla ha diritto divino a essere sostenuto. Perche’ se voi i dischi non li comprate, che senso ha che i musicisti li facciano?
Chi non dedica del tempo per andare a sentire un concerto o vedere una performance, non puo’ lamentarsi della qualita’ generale.
Chi non compra un disco perche’ tanto c’e’ tutto su youtube, non puo’ lamentarsi della qualita’ delle produzioni.
Chi scarica esclusivamente spartiti da internet o vive di fotocopie, non puo’ lamentarsi del fatto che i libri costino troppo.
Perche’ se oggi potete ascoltare bellissimi progetti fatti 40-50-60-70 anni fa, potete farlo perche’ qualcuno ci ha investito qualcosa. E se pensate con nostalgia ai tempi in cui verdiani e wagneriani si menavano nel loggione, pensate all’ultima volta in cui avete avuto una discussione seria e pubblica per difendere una vostra idea (no, i thread su youtube dove vi firmate Gigetto Anatroccoli e avete la foto di Beethoven non contano).
Il mondo di oggi e’ bello: abbiamo un secolo di interpretazioni passate da ascoltare. Tuttavia, se tutti continuiamo a crogiolarci nei mostri sacri del passato (obbligando peraltro gli interpreti presenti a inventarsi le peggio cose per apparire, spesso compromettendo la parte musicale), la registrazione di ottant’anni di storia potrebbe rimanere l’unica testimonianza esistente. Siamo sicuri che basti, passato l’entusiasmo attuale? Siamo sicuri che la generazione dopo la nostra ci ringraziera’, come noi possiamo ringraziare quella prima di noi? A voi la risposta.
E in ogni caso: ritenete che le produzioni discografiche non siano degne? Attivatevi per crearne qualcuna voi. Contattate gli artisti, proponete idee, capite come VOI potete essere utili.
Non vedete i concerti come li vorreste? Parlate con le organizzazioni, con gli enti, cercate di collaborare con chi si spacca la schiena per realizzarli, oppure provate a organizzarli da soli (basta il salotto di casa, o il teatro della parrocchia, non serve affittare la Scala).
Io tanti anni fa ho provato a cimentarmi in questi ambiti proprio perche’ volevo vedere qualcosa che non c’era.
Magari un po’ meno di visione (su youtube) e un po’ piu’ di visionarieta’ potrebbero portare un po’ d’ossigeno in questo mondo.
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