Immaginate di dover acquistare un oggetto sul quale non sapete niente in dettaglio, e su cui dovete cavarvela da soli. Sapete che vi serve, ma niente di più. Faccio un esempio, pensando a me stesso, immaginando di dover acquistare una lavatrice su internet. Non mi intendo di lavatrici, e quindi userò i criteri che si utilizzano sempre quando si deve fare una scelta su qualcosa di cui non si è esperti: se posso permettermela, comprerò la marca che percepisco come il top di gamma; se non posso permettermela, comprerò la più economica.
Questo approccio, di fatto, è quello che compie chiunque quando si trova a dover compiere una scelta e non ha le informazioni necessarie. Se ho un’opportuna base informativa, potrò sapere che esistono lavatrici che hanno caratteristiche diverse, e sulla base di queste caratteristiche scegliere quelle che vanno meglio per le mie necessità. Considerando che ho comunque, nella mia base informativa, il fatto di sapere che ho bisogno di una lavatrice (perchè devo lavare i vestiti che indosso).
Volendo generalizzare il discorso di cui sopra, la base delle conoscenze che abbiamo ci permette di sapere di cosa abbiamo bisogno e di scegliere di conseguenza, senza doverci basare sul solo buon senso. La logica è un’ottima cosa, ma la logica basata sulle informazioni permette di scegliere in modo più sicuro.
Altro esempio: io so che nella macedonia ci si mette la frutta. Ho davanti dei frutti, tra cui mele, pere, fragole, peperoni, pomodori, melanzane (ebbene si,sono tutti frutti). Se vado semplicemente a logica, dovrei mettere i peperoni nella macedonia. Se ho un minimo di cultura culinaria, dovrei sapere che, secondo ricetta, nella macedonia ci va la frutta dolce (e quindi non i pomodori,non le melanzane, non i peperoni).
Ora: il conoscere la ricetta di un piatto, le relazioni dei sapori, come si fa a lavare un capo fanno parte di tutta una serie di informazioni che fanno parte del substrato di ognuno, in altre parole, della nostra cultura.
La cultura non è innata,non ci passa con il DNA. La apprendiamo dal mondo che ci circonda: la famiglia, la scuola, la televisione, le persone che frequentiamo. Nessuna di queste entità può fornirci, in linea di massima, l’intero corpus delle conoscenze, ma si devono comportare in maniera complementare. Quando andremo a scuola, ad esempio, la nostra famiglia ci avrà insegnato a parlare, a vestirci, a comportarci secondo determinate convenzioni (meglio note come la “buona educazione”). La scuola ci insegnerà tra le altre cose l’alfabeto e i numeri, quindi gli strumenti necessari per apprendere altre informazioni tramite la lettura dei libri o la capacità di far di conto. In questo modo possiamo studiare gli argomenti che non conosciamo e scoprire se il cameriere al ristorante ci ha imbrogliato sul conto.
Se la scuola, a un certo punto, decidesse di non far leggere più libri, questo diventerebbe compito della famiglia, che tuttavia deve essere in grado di farlo, e questo non è scontato, perchè non tutti abbiamo lo stesso livello di competenze e soprattutto l’istruzione dovrebbe servire a fare in modo che tutto un insieme di competenze sia messo a disposizione, in modo gratuito e paritario, di tutti. Non deve fornire, beninteso, la conoscenza ma la competenza, ovverosia non l’informazione ma il metodo per ottenerla. Non devo dirti il contenuto di un libro, devo insegnarti a leggere, così puoi leggere tutti i libri che vuoi. Se ti dico il contenuto di un libro ma non ti insegno a leggere, quando vorrai sapere il contenuto di un altro libro, dovrai tornare da me. E questo è pericolosissimo, perchè implica che io ti dica sempre la verità, e non è detto che un giorno o l’altro non mi torni comodo dirti quanto fa comodo a me, e non cosa è realmente.
La cosa pubblica deve fornire proprio questo: i mezzi per decifrare. Se decifri, puoi informarti e capire quello che vieni a sapere. E sei libero.
Leggere sui giornali la parola “investimenti sulla cultura” legato a sponsorizzazione di mostre, finanziamenti di teatri, organizzazione di concerti è una bestialità gigantesca. Perchè una mostra, uno spettacolo, un’opera sono arte, non cultura. Ovverosia, sono un qualcosa che puoi decifrare solo se hai una certa base di conoscenze. Senza, sono solo un spreco di tempo.
Senza cultura, un quadro di Van Gogh e uno fatto dal tuo vicino di casa possono essere due cose ugualmente belle da guardare. Un brano di Giovanni Allevi e uno di Chopin possono essere due cose ugualmente piacevoli da ascoltare. Gli scavi di Pompei e i ruderi del palazzo demolito accanto a casa tua sono due mucchi di sassi.
Spargere cultura non significa imporre cosa è bello: serve tuttavia a farti capire perchè se venisse sgomberata l’area di scavi di Pompei sarebbe una tragedia, e se invece venissero portate via le rovine della palazzina anni sessanta appena demolita non sarebbe certo un atto grave. Poi, uno è liberissimo di contemplare con affetto le rovine del palazzo, di commuoversi ascoltando Gigi D’Alessio, di apprezzare un romanzo Harmony.
Organizzare mostre, stagioni d’opera, presentazioni di libri mentre non si forniscono ai potenziali fruitori gli strumenti per capirli è un’atto suicida, folle, completamente senza senso. Innanzitutto, perchè se si organizza un evento il desiderio dovrebbe essere che questo sia fruito dal massimo numero di persone.
In questo momento la cultura è sparita dalle scuole, dalla televisione, dai media. Rimane la famiglia, che, come dicevamo sopra, deve essere in grado di farlo.
Negli anni ottanta, quando lo stato italiano istituì il FUS (Fondo Unico Per lo spettacolo) la televisione aveva un sacco di concerti, teatro, programmi d’arte, e i fondi stanziati erano pari allo 0,08% del PIL. Oggi le informazioni culturali fornite dallo stato sono molto meno, e infatti i fondi stanziati sono pari allo 0,02% del PIL.
Come a dire: abbiamo ridotto il livello informativo i e, di conseguenza, finanziamo meno progetti perché ci sono meno persone in grado di capirli.
A voi va bene?
Post scriptum, per chi non l’avesse capito: l’esempio della lavatrice è una provocazione per chi dice che non c’è mai stata tanta musica disponibile come oggi. Se chi la ascolta non sa come sceglierla, averne tanta è come non averne. Ascolterò sempre le stesse cose, oppure quelle che il “senso comune” mi passa come “capolavori”.